L’uso di termini stranieri è oramai molto diffuso anche in campo alimentare e in settori ad esso connessi.
Attraverso il progetto Sapore straniero: viaggio nelle parole del cibo, le Donne del cibo, di cui faccio parte, nel 2023 hanno raccontato, attraverso la loro pagina Facebook il significato di alcune tra le parole o definizioni più utilizzate.
Eccone di seguito una selezione in ordine alfabetico:
1 – Baby food
Baby food è il cibo pensato e destinato ai bambini. Il termine si riferisce alle preparazioni industriali pensate per i bambini fra 0 e 3 anni che si dividono in: alimenti a base di cereali (biscotti, creme di cereali, pastine…); formule (i cosiddetti latti liquidi e in polvere); alimenti a base di frutta e a base di carne (omogeneizzati o liofilizzati).
La legge di riferimento è la DM 82/2009 che stabilisce come possono e devono essere fatti questi alimenti – sia da un punto di vista di composizione, sia per quanto riguarda gli aspetti di sicurezza. Ad esempio i limiti massimi di alcuni contaminanti devono essere più bassi, rispetto a quanto previsto per gli alimenti comuni.
2 – Binge eating
Il Bing Eating Disorder (BED) è anche detto disturbo da alimentazione incontrollata e per la sua individuazione si utilizzano diversi criteri diagnostici, tra cui:
– il verificarsi di episodi ricorrenti di abbuffate
– la frequenza con cui si verificano le abbuffate: in media almeno due volte a settimana per un periodo di 6 mesi.
Gli episodi di abbuffate sono associati anche ad alcune condizioni specifiche come, ad esempio, mangiare più rapidamente del normale, mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni, mangiare in assenza di fame o appetito, mangiare provando senso di colpa e in solitudine per vergogna e timore del giudizio altrui.
Sembra essere il disturbo del comportamento alimentare più diffuso tra i maschi, anche se in letteratura sono maggiormente presenti studi in cui i i campioni osservati sono di sesso femminile o misti, quindi la descrizione della condizione patologica non fa distinzioni tra i sessi.
3 – Carbon footprint
La carbon footprint o impronta di carbonio misura le emissioni di anidride carbonica e di altri gas serra legate a un prodotto, o a un servizio, permettendo di valutarne l’impatto ambientale, in termini di riscaldamento globale.
La misurazione interessa tutto il suo ciclo e quindi nel caso di un alimento tutte le fasi della filiera, dalla produzione agricola e industriale alla distribuzione.
Il dato finale può essere quindi condizionato da tanti fattori come le pratiche agricole adottate, il tipo di trasformazione e di confezionamento, le distanze dal luogo di produzione a quello di consumo e così via.
Ma non solo gas serra. In un contesto generale di crescente stress idrico un altro parametro utilizzato per valutare la sostenibilità del nostro cibo è la water footprint, o impronta idrica, che misura l’impatto di un prodotto in termini di consumo e qualità dell’acqua.
4 – Clean label
L’etichetta pulita o clean label si può considerare una vera e propria tendenza alimentare ed allo stesso tempo una sfida per i produttori di alimenti.
Il consumatore, infatti, è sempre più attento a quello che porta in tavola e non solo da un punto di vista nutrizionale, ma anche all’ impatto di quel determinato prodotto sulla salute e sull’ambiente.
Clean label non significa necessariamente “privo di additivi”. L’espressione può infatti riferirsi anche all’assenza o alla riduzione di un determinato ingrediente percepito spesso dal consumatore come nocivo (ad esempio: senza zuccheri).
Naturalmente le indicazioni non devono essere ingannevoli o fuorvianti e rispettare le normative vigenti in materia di informazione ai consumatori.
5 – Comfort food
Comfort food ovvero il cibo che nutre le nostre emozioni, il cibo che ci dona benessere e ci fa tornare indietro nel tempo evocando sensazioni di serenità e allontanandoci per un momento dai nostri problemi.
Tutti noi abbiamo un comfort food, legato a ricordi e momenti speciali.
Sembra che la prima descrizione del concetto di comfort food sia comparsa nell’opera di Marcel Proust “Alla Ricerca del Tempo Perduto”, dove viene raccontato dettagliatamente l’effetto emotivo provocato da una madeleine inzuppata nel tè.
La scienza, che se ne occupa dagli anni Sessanta, ha scoperto che il consumo di comfort food attiva un sistema di ricompensa del cervello, che attraverso la secrezione di ormoni, dona una sensazione di relax e appagamento.
6 – Dark kitchen
Dark kitchen – che significa cucina nascosta, o anche ghost kitchen cioè cucina fantasma – è un locale completamente equipaggiato e attrezzato per preparare in modo professionale pasti esclusivamente per la consegna, per altri ristoranti, abitazioni private o altri luoghi in cui il cibo sarà consumato.
E’ una sorta di cucina che può essere noleggiata per preparare cibo ed è un fenomeno che si è affermato con la recente pandemia, quando molti ristoranti si trovarono costretti a chiudere o a ridurre il numero di posti a sedere mentre parallelamente cresceva la richiesta di pasti da asporto.
7 – Doggy bag
Doggy bag significa letteralmente “borsa per cani”.
Si tratta di un’espressione utilizzata per indicare la pratica di portare a casa gli avanzi di un pasto al ristorante.
La diffusione di questa tendenza è indubbiamente un vantaggio perché favorisce la riduzione degli sprechi e ci indirizza verso comportamenti più sostenibili
8 – Eating clean
Il principio del “mangiare pulito” si riferisce ad un modello di alimentazione che si basa sul consumo di alimenti il più possibile non processati.
Gli alimenti “clean“, sono prevalentemente cibi freschi, poco elaborati e privi di additivi come esaltatori di sapidità, aromi, coloranti, ecc.
La prima regola dell’eating clean è cucinare i propri pasti (anche quelli della pausa pranzo al lavoro, per esempio) a partire da ingredienti semplici e il più possibile freschi. Il tutto per uno stile di vita con un po’ di sana lentezza essenziale anche per assaporare veramente i cibi.
9 – Finger food
Con questi termini ci si riferisce alla tendenza di preparare e offrire il cibo in piccole porzioni consumabili anche senza l’uso di posate, solitamente al momento dell’aperitivo o in banchetti in occasione di eventi.
Le preparazioni di finger food sono presentate con grande cura e attenzione ai dettagli e composte da creme spalmabili, verdure, carne, pesce con abbinamenti di consistenze diverse che hanno la finalità di stuzzicare occhi e palato.
10 – First in first out
First In – first out, letteralmente “prima dentro, prima fuori”, è un’espressione presa a prestito dal settore della logistica. Indica una procedura di gestione del magazzino, in base alla quale la prima merce che entra, deve essere la prima ad uscire.
In ambito alimentare questa procedura è molto applicata perché riduce lo spreco per superamento della data di scadenza.
E’ sicuramente una buona norma da applicare anche nel frigorifero di casa.
11 – Flavour
Il termine anglosassone flavour sta ad indicare l’insieme dei sapori e degli aromi di un alimento.
Nell’industria alimentare, e talvolta anche nella ristorazione, il flavour di un cibo è determinato dall’aggiunta di aromi naturali o spesso artificiali perché meno costosi, che hanno la funzione di caratterizzare il prodotto generando sensazioni piacevoli al naso e al palato.
Ci può quindi non essere alcuna differenza fra il flavour di un cibo con e senza aromi aggiunti?
Non è proprio così perché la complessità aromatica di un alimento, o piatto “al naturale” potrebbe essere molto più variegata e armoniosa di quella di un cibo ottenuto con tecniche industriali e l’aggiunta di aromi artificiali, sempre che la materia prima utilizzata sia di elevata qualità e che venga valorizzata nei trattamenti successivi.
12 – Food pairing
Per food pairing si intende l’abbinamento culinario o meglio, la ricerca del miglior accostamento fra ingredienti o alimenti che riesca a regalare al palato sensazioni inaspettatamente armoniose.
Il food pairing combina la neurogastronomia (come il cervello percepisce il sapore) con l’analisi dei profili aromatici derivati dai componenti chimici degli alimenti.
Semplificando un po’, il food pairing analizza le componenti aromatiche di ogni ingrediente e così facendo riesce a trovare i profili comuni a livello molecolare e a spiegare così perché certi accostamenti funzionino benissimo per il nostro palato.
I primi a stabilire che alcuni sapori stanno bene insieme per la loro composizione furono lo chef Heston Blumenthal e il chimico François Benzi nel 1992. Fu quest’ultimo ad accostare il fiore di gelsomino – di cui amava molto il profumo – con il fegato perché sapeva che contenevano entrambi una molecola aromatica comune. Da lì furono tanti a cimentarsi. Oggi esiste anche uno strumento online (a pagamento) che aiuta chef e bartender a trovare combinazioni gustose.
13 – Food waste
Con food waste si intende il cibo sprecato perché scartato nel punto vendita o dal consumatore. La definizione non va confusa con food loss che si riferisce invece alle perdite di quantità o qualità degli alimenti nella produzione e in altre fasi precedenti della filiera.
Perché è importante combattere lo spreco alimentare? Non è solo una questione morale.
Per produrre il cibo, portarlo al consumo e distruggerlo o trasformarlo qualora diventi rifiuto, si usano beni e risorse (terra, acqua, energia, lavoro, carburanti, ecc.) e si genera inquinamento con l’emissione di gas serra.
Ridurre lo spreco alimentare vuol dire quindi contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici.
14 – Free from
L’espressione free from si riferisce a prodotti alimentari che presentano in etichetta una serie piuttosto ampia di diciture (anche qui c’è un termine inglese per definirle: claim), accomunate dalla minore presenza o totale assenza di qualcosa.
Rientrano in queste definizioni cibi “senza zuccheri aggiunti”, “a ridotto contenuto di grassi”, “con meno sale”. Possono essere considerati free from alimenti che dichiarano l’assenza di alcuni ingredienti come “no OGM” o “senza olio di palma”, ma anche i prodotti che fanno riferimento ad allergie o intolleranze come quelli “senza glutine” o “senza lattosio”.
Si tratta di categorie di mercato in continua crescita.
15 – Gluten Free
La dicitura gluten free o “senza glutine” è sempre più diffusa sulle confezioni di alimenti.
Il glutine è la frazione proteica presente soprattutto in frumento (grano duro, grano tenero e farro) e, in quantità via via minori, in segale, orzo e avena. E’ invece completamente assente in altri cerali come riso e mais.
In Italia le persone affette da celiachia, un’intolleranza permanente al glutine, sono circa l’1% della popolazione, ma secondo l’AIC – Associazione Italiana Celiachia la percentuale è in crescita.
Premesso che oggi sul mercato sono reperibili alimenti tipo pane, pasta, ecc. a ridotto tenore di glutine o costituiti da ingredienti che ne sono naturalmente privi, secondo quanto stabilito dal Reg.UE 828/2014, la dicitura “SENZA GLUTINE” è consentita solo per alimenti con contenuto di glutine non superiore a 20 mg/kg.
E’ invece “con contenuto di glutine molto basso”, o a ridotto tenore di glutine, un alimento con quantità di glutine non superiore a 100 mg/kg.
Al di fuori dei casi in cui strettamente necessarie, le diete senza glutine, oggi purtroppo di moda, sono fortemente sconsigliate dai nutrizionisti perché il glutine è una proteina preziosa, fra l’altro con una bassa impronta idrica e ambientale e quindi più sostenibile di tante altre fonti proteiche.
16 – Greenwashing
Il green washing è l’insieme delle tattiche attuate dalle imprese per crearsi un’immagine ambientalista, spesso per mascherare gli effetti negativi della loro produzione con affermazioni generiche e fuorvianti (es. su prodotto “fa bene all’ambiente”), con l’assenza di informazioni che dovrebbero avvalorare quanto pubblicizzato, con l’enfatizzazione di caratteristiche irrilevanti, di un impegno inconsistente circoscritto ad un singolo evento, ecc.
Uno studio della Commissione Europea del 2020 ha rilevato che purtroppo ben il 53% delle asserzioni ambientali esaminate nella UE erano vaghe, fuorvianti o infondate e che il 40% era del tutto infondato.
17 – Novel Food
Con i termini novel food ci si riferisce ad un alimento che, prima del 15 maggio 1997, non era consumato in misura significativa dall’uomo nell’UE. Da quella data è infatti entrato in vigore il primo regolamento europeo sui nuovi prodotti alimentari.
I novel food sono alimenti prodotti con nuove tecnologie e nuovi processi di produzione, ma anche alimenti tradizionalmente consumati al di fuori dell’UE. La loro commercializzazione deve essere autorizzata dall’ EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare.
I novel food sono spesso al centro di accese discussioni tra chi non concepisce l’introduzione nelle proprie abitudini alimentari di cibi così lontani dalla tradizione del nostro paese e chi, invece, li considera una risposta alla crisi ambientale, energetica e demografica.
18 – Nutri-score
Il Nutri-score, spesso chiamato “etichetta a semaforo”, è un sistema di informazione e comunicazione al consumatore del valore nutrizionale di un determinato prodotto alimentare.
Appare proprio come un semaforo in cui ciascun colore assume un significato preciso:
Verde intenso, associato alla lettera A: viene assegnata ai prodotti con la migliore qualità nutrizionale. Verde chiaro, lettera B: prodotti considerati con valore leggermente inferiore alla categoria “A” e si progredisce via via con le successive lettere.
Giallo, lettera C, Arancione, lettera D e infine il colore rosso associato alla lettera E: alimenti da assumere con attenzione, avendo una qualità nutrizionale non proprio ottimale.
Il dibattito sull’ efficacia di questo strumento grafico nell’orientare scelte consapevoli dei consumatori è ancora aperto.
19 – Packaging
Con il termine packaging ci si riferisce all’imballaggio di un prodotto, anche se nel marketing assume un significato più ampio perché sta ad indicarne anche la presentazione nella comunicazione e vendita.
Analizzandone l’aspetto tecnico, va sottolineato che i materiali destinati ad entrare a contatto con gli alimenti sono normati da leggi nazionali e regolamenti europei.
La norma quadro di riferimento per gli addetti ai lavori è il Reg. CE 1935/04 che stabilisce che tutti i materiali ed oggetti devono essere prodotti conformemente alle buone pratiche di fabbricazione e, nelle condizioni di normale impiego, non devono trasferire agli alimenti componenti in quantità tale da:
– costituire un pericolo per la salute del consumatore,
– comportare una modifica inaccettabile della composizione dei prodotti alimentari,
– comportare un deterioramento delle caratteristiche sensoriali dell’alimento.
20 – Plant based
Plant based è una locuzione che indica una grande categoria di alimenti a base vegetale che sostituiscono i corrispondenti prodotti animali, come latte, formaggio e carne.
In genere sono realizzati a partire da ingredienti ad alto contenuto proteico come la soia, che subiscono dei processi di trasformazione, per esempio la fermentazione. Tra i più comuni ci sono il tofu e il seitan.
Il termine plant based può anche indicare un regime alimentare a prevalenza vegetale.
Gli alimenti plant based sono idonei per essere consumati dai vegani, ma entrano spesso nelle abitudini alimentari anche degli onnivori, che però vogliono ridurre il consumo di alimenti di derivazione animale, senza eliminarli del tutto.
21 – Precision farming
Sembra che la definizione precision farming (Agricoltura di Precisione) sia stata utilizzata per la prima volta nel 1990, negli USA, in un incontro tecnico in Montana.
La precisione consiste nel gestire, attraverso l’uso delle nuove tecnologie, la variabilità in campo per dare ad ogni pianta ciò di cui ha esattamente bisogno e ridurre quindi gli sprechi di acqua, fertilizzanti e fitofarmaci.
I vantaggi consistono nella minimizzazione dei danni ambientali e maggior guadagno per l’agricoltore.
Si parte dall’analisi dei dati raccolti sul campo con uso di GPS, GIS, telerilevamento (da piattaforma satellitare, con droni, ecc.) o con l’applicazione di sensori sulle macchine agricole.
Con l’aiuto di modelli informatizzati, l’agricoltore decide poi le sue strategie di intervento (ad esempio quanto concime deve essere dato alle piante nelle loro diverse condizioni) e trasferisce le indicazioni a trattori e macchine agricole dotate di adeguati strumenti e sistemi specifici (es. tecnologia ISOBUS, GPS, sensori).
Le macchine possono addirittura arrivare a “dialogare” tra loro. L’agricoltura di precisione per costi e applicabilità, in Italia al momento è d’interesse solo di grandi aziende, soprattutto dei settori cerealicolo e vitivinicolo.
22 – Shelf life
ll termine shelf life significa letteralmente “vita di scaffale”. Questa locuzione e nell’ambito della sicurezza alimentare viene utilizzata per indicare la vita commerciale di un alimento, cioè il periodo di tempo che intercorre fra la sua produzione e il consumo, senza che ci siano rischi per la salute del consumatore.
E’ il produttore che, attraverso una serie di test, stabilisce la shelf life del proprio prodotto.
Il concetto di shelf life è strettamente legato a quello della data di scadenza. Essa può essere indicata con la dicitura “da consumarsi entro” per gli alimenti che, dopo la data indicata possono rappresentare un pericolo per la salute oppure “da consumarsi preferibilmente entro” per gli alimenti stabili, che oltre la data indicata possono andare incontro ad un peggioramento qualitativo senza però effetti negativi sulla salute di chi li consuma.
23 – Shrinkflation
Shrinkflation è un termine che in italiano può essere tradotto con sgrammatura.
Questo fenomeno si è consolidato negli ultimi anni, perché molte aziende, a fronte dell’aumento dei costi di produzione, hanno optato per mantenere il prezzo di vendita al pubblico, riducendo però il peso delle confezioni.
Come difendersi da questo fenomeno? Controllando il prezzo al chilo (o al litro) del prodotto che si intende acquistare, confrontandolo con gli altri analoghi. Insomma, scegliendo con consapevolezza.
24 – Super food
Super food, letteralmente significa super alimento, di qualità superiore, cibo con proprietà nutrizionali al di sopra di tutti (o almeno di molti) altri.
Oggi questa categoria ne annovera numerosi: ad esempio semi di chia, curcuma, zenzero, bacche di Goji, avocado, melagrana. La lista è lunga e periodicamente aggiornata a seconda delle tendenze, le mode e le campagne di marketing.
Sono alimenti che abbondano di sostanze (vitamine, polifenoli, terpeni, tiocianati, ecc ) che possono aiutare a migliorare uno stato di salute, ma che da soli non risolvono i problemi e che in un’ottica di prevenzione delle malattie vanno pertanto inseriti in una dieta varia e bilanciata accompagnata da uno stile di vita attivo.
Il nome super food, in definitiva, è fuorviante e non è approvato per legge. Nell’Unione europea non è consentito scriverlo sulle etichette.
25 – Texture
La piacevolezza al palato di un cibo non è data solo da sapori, profumi e aromi, ma anche dalla sua texture, termine inglese che si può tradurre in struttura, tessitura.
La texture di un alimento ne indica la consistenza, la resistenza alla masticazione, le caratteristiche meccaniche come la durezza, la gommosità, la friabilità, la croccantezza, l’elasticità, ecc..
Un insieme di sensazioni che si accompagnano a quelle visive date dalla forma e dal colore del cibo, a quelle tattili, al suono prodotto durante la masticazione e così via. Sensazioni che naturalmente si aggiungono a quelle di tipo olfattivo e gusto-olfattivo.
In una sempre più diffusa strategia di valorizzazione del cibo proprio attraverso le sensazioni che suscita nel consumatore, industria alimentare e ristorazione oggi prestano pertanto particolare attenzione alla texture dei prodotti o dei piatti proposti.
26 – Trigger food
Trigger significa letteralmente grilletto, ma è un termine che ha accezioni anche psicologiche, indicando qualcosa che tocca nel profondo, che fa scattare qualcosa dentro di sé.
E proprio quello fanno i trigger food: sono alimenti che attirano come calamite, che scatenano la fame e si fanno mangiare per motivi che non hanno nulla a che fare con la necessità di nutrirsi. Si mangiano per noia, o per scacciare la tensione.
Ogni persona hai i suoi trigger food: c’è chi non resiste alle patatine, chi si butta su caramelle e cioccolatini, chi non sa dire di no a una focaccina. Nella loro diversità li accomunano alcuni aspetti, come il gusto intenso, la palatabilità, la facilità di consumo.
Come resistere alle tentazioni? Anzitutto imparando a riconoscerli e poi gustandoli con maggiore consapevolezza senza abusarne.
27 – Veggie
Veggie (o veggy), nella lingua inglese significa vegetariano.
Nel 2021 il dizionario Zingarelli ha però censito questa parola come anglicismo d’uso esteso in cucina, giornalismo, marketing, rete, social media e, come specificato dall’Accademia della Crusca, oramai impiegato per indicare non soltanto per indicare chi (o che) è vegetariano, ma anche per designare qualcosa che è adatto o relativo a chi non consuma carne (indipendentemente da vegetarismo e veganismo) oppure, tramite restringimento a veg, per riferirsi unicamente ai vegani.
In campo alimentare sono nate più linee di prodotti “Veggie”, pensate proprio per diete vegetariane e vegane.
Premesso che sul mercato ci sono alimenti caratterizzati da marchi specifici di associazioni e che i produttori possono comunque ricorrere a certificazioni volontarie, di fatto a livello normativo la scritta “vegetale”, “vegetariano” o “vegano” è stabilita liberamente dal produttore che deve però rispondere alle pratiche leali d’informazione stabilite da regolamento UE 1169/11. Sulla base di tale regolamento le informazioni, oltre ad essere veritiere, non devono indurre in errore il consumatore.
Conclusioni
Le spiegazioni soprariportate sono state elaborate dalle tecnologhe alimentari Roberta De Noia e Francesca De Vecchi, dalla giornalista Elena Consonni, dall’operatrice culturale Tamara Gaiatto e naturalmente dalla sottoscritta.
Ma per scoprire il significato di tante altre parole utilizzate in campo alimentare ed anche gastronomico vi invito a visitare la pagina Facebook di Donne del cibo.
28 dicembre 2023