Nel mondo circa un miliardo di persone sono impiegate in agricoltura.

Lo registra l’OIL – Organizzazione Internazionale del Lavoro, agenzia delle Nazioni Unite, sottolineando che in alcuni paesi dell’Africa subsahariana la percentuale di popolazione occupata nel settore primario può arrivare fino al 75%.

La lotta alla povertà è quindi strettamente collegata allo sviluppo dell’agricoltura, che può determinare una maggiore redditività per agricoltori e lavoratori e generare occupazione in attività connesse o nell’indotto (es. industria di trasformazione, macchinari, commercio, ecc.).

Per questo è necessario promuovere l’imprenditoria e sostenere i piccoli produttori, con l’accesso ad adeguati strumenti finanziari per interventi finalizzati alla crescita, alla creazione di posti di lavoro e al raggiungimento di una sostenibilità economica delle loro imprese.

Il lavoro è però dignitoso non solo se giustamente remunerato, ma se rispettoso anche dei diritti dell’uomo e del lavoratore.

L’Obiettivo n.8 – Lavoro dignitoso e crescita economica dell’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile si prefigge quindi di incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti.

In agricoltura ben 450 milioni di salariati operano in condizioni di non sicurezza e sono privi di forme adeguate di protezione sociale.

Il problema è presente anche in paesi sviluppati come l’Italia e per questo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha elaborato il Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020-2022 che coinvolge Inps, Ministero dell’agricoltura, Regioni, Enti locali, Prefetture, CPI, ecc. e che unisce risorse finanziarie nazionali ed europee.

Le stime Istat individuano proprio l’agricoltura come il settore produttivo con il maggior tasso di lavoro non regolare. Lo sfruttamento lavorativo interessa tutto il territorio nazionale anche se è più presente in alcune aree geografiche del paese.

Può partire da intermediazioni illecite di arruolamento della manodopera, come il caporalato, riguardare le caratteristiche del lavoro con retribuzioni non proporzionate, mancanza di rispetto delle norme di sicurezza e salute a arrivare a determinare addirittura condizioni di vita degradanti delle persone.

Se all’approfittare dello stato di vulnerabilità e bisogno del lavoratore si aggiungono violenze, minacce e restrizioni delle libertà personali, diventa lavoro forzato.

Cosa fare per prevenire lo sfruttamento lavorativo in agricoltura?

Tra le azioni preventive il Piano ha individuato:

1 –  La creazione di un sistema informativo che, attraverso il calendario delle colture e la quantificazione dei conseguenti fabbisogni di manodopera nei diversi periodi dell’anno e territori, permetta la pianificazione, la gestione e il controllo del mercato del lavoro. Bisogna tener presente che in agricoltura lo sfruttamento lavorativo è più “facile” perché la richiesta di manodopera varia notevolmente a seconda delle stagioni ed è legata solo ad alcune fasi di coltivazione delle diverse colture.

2 – Interventi per migliorare il funzionamento e l’efficienza del mercato dei prodotti agricoli anche con il potenziamento delle misure contro le vendite sottocosto, l’incentivazione di contratti di filiera, la valorizzazione dei prodotti attraverso certificazioni e tracciabilità. Lo sfruttamento dei lavoratori è infatti più diffuso dove non c’è trasparenza di informazioni e dove il produttore può essere pressato dall’esigenza di contenere i costi per reggere sul mercato.

3 –  Il rafforzamento della Rete del lavoro agricolo di qualità, istituita dall’ INPS in base a norme specifiche del 2014 e 2016, a cui si possono iscrivere le aziende che si distinguono per il rispetto delle norme in materia di lavoro, legislazione sociale e imposte. Va rilevato che in alcune aree del paese, dove il problema dello sfruttamento può inficiare l’immagine delle produzioni, l’adesione delle aziende è stata piuttosto massiccia.

Per evitare condizioni di degrado, sono chiamate a svolgere un ruolo importante anche le Amministrazioni Locali, con l’individuazione e la messa a disposizione di locali dignitosi per i lavoratori (no ad insediamenti spontanei/ baraccopoli) e di servizi di trasporto nel luogo di lavoro. Questi servizi costituiscono infatti uno dei maggiori punti di forza del caporalato.

Oltre ad azioni per la prevenzione dello sfruttamento, naturalmente il Piano contempla anche un incremento della vigilanza, un maggior raccordo tra gli Organi Ispettivi e la protezione ed assistenza per le vittime.

Cosa possiamo fare noi consumatori?

Noi consumatori, nel nostro piccolo, possiamo fare attenzione a non diventare inconsapevolmente complici dello sfruttamento dei lavoratori della filiera agroalimentare.

Ecco in sintesi alcuni consigli:

1 – Comprare preferibilmente prodotti locali di filiera corta;

2 – Non farsi tentare da offerte a prezzi stracciati (gatta ci cova!)

3 – Se non si conosce il produttore, acquistare preferibilmente prodotti certificati (es. biologici) e di filiere controllate

4 – Verificare in etichetta l’origine del prodotto alimentare e l’eventuale provenienza della materia prima (l’obbligo di dichiarazione sussiste solo per alcuni prodotti)

5 – Evitare l’acquisto di alimenti provenienti da Paesi con sfruttamento minorile (es. riso Vietnam, agrumi Turchia, zucchero di canna Colombia, cacao Costa d’Avorio) o lavori forzati (es. pesce Tailandia e carne Brasile), a meno che non siano garantiti da associazioni o certificazioni specifiche a tutela dei lavoratori.

In conclusione credo che molti di noi, intrappolati in stili di vita spesso improntati solo sul consumo, dovrebbero cambiare approccio e visione del cibo proprio per portare un po’ più di etica a tavola.

 

21 ottobre 2022

 

Nota: L’articolo è una sintesi del mio intervento all’incontro “Dritte al punto…della sostenibilità. Le Donne del cibo raccontano gli Obiettivi ONU Agenda 2030″ dell’8 novembre 2022