Lo scorso 20 maggio è stata celebrata la giornata mondiale delle api, istituita dall’ONU in ricorrenza della data di nascita di Anton Janša, apicoltore sloveno, pioniere dell’apicoltura moderna.

L’obiettivo è quello di sottolineare l’importanza di questo insetto, minacciato da tanti pericoli e da cui dipende anche la nostra sopravvivenza.

Oggi vi voglio parlare proprio di apicoltura con due esperti, ma prima di dar loro la parola ecco alcune informazioni introduttive.

L’apicoltura in Italia e in Friuli Venezia Giulia

Forse non tutti sanno che a livello nazionale esiste un’Anagrafe Apistica Nazionale a cui obbligatoriamente devono iscriversi i proprietari di apiari.

Secondo la sua banca dati, a fine 2019 in Italia risultavano censiti oltre 1.380.000 alveari, di cui il 76% gestiti da apicoltori commerciali.

Gli operatori si suddividono infatti in hobbisti, semiprofessionisti, per i quali l’apicoltura costituisce una forma di integrazione del reddito, e professionisti che svolgono invece l’attività a titolo principale.

In Friuli Venezia Giulia sono presenti oltre 1.200 apicoltori con quasi 28.000 alveari raccolti in circa 1900 apiari. Gli apicoltori professionisti sono 25.

La produzione regionale di miele è difficile da quantificare e molto variabile perché legata all’andamento climatico e all’incidenza delle malattie infettive e infestive delle api.  Indicativamente può oscillare tra 470 e 1.100 tonnellate all’anno.

Gli apicoltori del Friuli Venezia Giulia e le loro organizzazioni sono supportati dal punto di vista tecnico e formativo dal LAR Laboratorio Apistico Regionale, costituito presso il Dipartimento di Scienze Agroalimentari, Ambientali e Animali dell’Università di Udine.

La parola agli esperti

Pierbruno Mutton: Sono un agronomo, dipendente Ersa – Agenzia regionale per lo sviluppo rurale del Friuli Venezia Giulia e da tanti anni svolgo attività di assistenza tecnica ad aziende agricole, soprattutto viticole, per la difesa fitosanitaria. Sono anche apicoltore ed esperto apistico e per dieci anni ho ricoperto la carica di presidente del Consorzio Apistico di Pordenone.

Virginia Zanni: Anch’io sono laureata in agraria e lavoro in qualità di ricercatrice presso l’Università di Udine. In particolare mi occupo di biologia e di fattori di stress delle api. Sono anche apicoltrice dilettante.

 

Quando si parla di stress e di difesa delle api il pensiero va subito ai pesticidi usati in agricoltura. In questi giorni la commissione Europea ha approvato la strategia per il 2030, tra i cui obiettivi rientra anche la riduzione del 50% in dieci anni del loro uso. Nell’ultimo periodo sono nate anche iniziative come quella dell’ICE (Iniziativa Cittadini Europei) per chiedere alla UE la loro eliminazione entro il 2035.  Domando a Pierbruno, tu, da tecnico che opera in agricoltura, cosa ne pensi?

Pierbruno: L’obiettivo è sicuramente auspicabile, ma penso sia difficile da raggiungere, almeno nei tempi indicati. L’uso di fitofarmaci di sintesi oggi è purtroppo ancora indispensabile, da una parte per raggiungere i livelli produttivi richiesti dai mercati e dall’altra per garantire la sostenibilità economica dell’attività agricola e quindi un reddito all’agricoltore. L’aver escluso la possibilità di impianto di materiale transgenico, reso resistente alle malattie attraverso tecniche di biologia molecolare, lega ancora gran parte della nostra agricoltura all’utilizzo di fitofarmaci. Quando parlo di transgenico non mi sto naturalmente riferendo alle modifiche, giustamente condannate, per creare resistenza sulle piante coltivate ad erbicidi, come successo in passato per il glifosato.

Mutton Pierbruno

Pierbruno Mutton – Agronomo, consulente in viticoltura e apicoltore

In viticoltura, comparto in cui lavoro, la gran parte dei vigneti di nuovo impianto, che avranno una vita media di 15 anni, sono di cultivar tradizionali e per produrre hanno bisogno della chimica perché non resistenti a malattie della vite come oidio e peronospora.

Sicuramente l’assistenza tecnica e la formazione degli operatori, che già si sta facendo, può aiutare, con l’applicazione in campo di buone pratiche agronomiche, a limitare lo sviluppo dei patogeni e a ridurre nel contempo le esigenze di interventi con i fitofarmaci.

Anche l’impianto di PIWI, vitigni ibridi resistenti, potrebbe favorire la riduzione di pesticidi, ma gli incroci oggi disponibili non incontrano ancora i favori del mercato.

Purtroppo con la crescita dimensionale delle aziende e “l’industrializzazione” dell’agricoltura, che delega a terzi gran parte delle scelte imprenditoriali, viene meno quella figura indispensabile dell’agricoltore che ricopriva un ruolo insostituibile anche per la tutela dell’ambiente e del paesaggio rurale.

 

E tu Virginia, da ricercatrice, cosa ci dici in merito?

 Virginia: I pesticidi non sono la sola causa di moria delle api domestiche. Principale responsabile è la Varroa, un acaro parassita che si attacca all’ape durante il suo sviluppo succhiandone l’emolinfa, veicolando e promuovendo la replicazione di virus. E’ però altrettanto vero che questo parassita ha un impatto maggiore sulla salute dell’ape in presenza nell’insetto di stress da pesticidi.

Purtroppo per combattere la Varroa gli apicoltori sono costretti a trattare gli alveari con acaricidi.

Un ulteriore importante fattore di stress, e qui mi ricollego al discorso sull’agricoltura, deriva però dalla perdita di biodiversità, cioè da un’agricoltura basata sulla coltivazione intensiva di poche specie, che porta a una minore disponibilità e una non distribuzione temporale di cibo, in quanto le fioriture si concentrano solo in determinati periodi dell’anno. Spesso gli apicoltori sono costretti a supportare le famiglie di api con sciroppi zuccherini per sopperire alla mancanza di scorte di miele.

Zanni Virginia

Virginia Zanni –  Ricercatrice, tecnica ambientale

Per star bene le api hanno inoltre necessità di polline, ancor meglio se multiflora.  Come riscontrato attraverso gli esperimenti che conduco in Università, anche le api attaccate da Varroa vivono più a lungo se nutrite con una dieta completa ricca di polline anziché unicamente zuccherina.

In sintesi più si riduce la biodiversità, meno l’ambiente diventa ospitale per le api che si indeboliscono e soccombono soprattutto per la Varroa, che attraverso la sua azione favorisce la presenza di virus, primo tra tutti quello delle ali deformi.

Nella moria delle api è quindi corretto parlare di concause, e la strada per ridurla è soprattutto quella dell’aumento della biodiversità. La biodiversità è importante non solo per le api domestiche, ma anche per tutti gli altri insetti impollinatori, pure in stato di sofferenza, che rivestono un ruolo fondamentale in natura.

 

Com’è la situazione dell’apicoltura nella nostra regione, il Friuli Venezia Giulia?

Pierbruno: Siamo abbastanza fortunati perché abbiamo ampie zone montane, pedemontane e collinari con una conseguente agricoltura estensiva e con una grande biodiversità vegetazionale. Tra gli operatori, inoltre, ci sono tanti giovani e in generale gli apicoltori hanno acquisito conoscenza e competenza grazie al lavoro fatto nel corso degli anni dai Consorzi Apistici Provinciali e dal LAR. Ci tengo poi a evidenziare che l’allevamento delle api fatto dagli apicoltori, sia hobbisti che professionali è essenziale non solo per la produzione di miele ma soprattutto per l’impollinazione di numerosissime piante sia spontanee che coltivate.

 

Secondo voi quali scelte politiche si dovrebbero fare per tutelare le api?

 Virginia: A mio avviso dovremmo seguire l’esempio della Slovenia che ha sviluppato politiche per andare incontro alle esigenze degli apicoltori, limitare la dimensione degli apiari, favorire l’impianto di specie favorevoli alle api.  E’ poi necessario far crescere la conoscenza e l’interesse sull’argomento attraverso la formazione nelle scuole. Io introdurrei obbligatoriamente l’insegnamento di ecologia nella scuola primaria. Le amministrazioni pubbliche potrebbero poi sviluppare anche iniziative relativamente semplici come prevedere l’impianto di specie nettarifere nell’inverdimento delle città.

 Pierbruno: Anche per me è molto importante il lavoro di formazione nelle scuole. Credo poi debba essere fatto un lavoro di avvicinamento fra apicoltori e agricoltori. Purtroppo in alcuni casi c’è stata una contrapposizione fra le parti. La politica dovrebbe far sì che lavorino insieme per la sostenibilità economica ed ambientale delle loro attività e quindi per un conseguente bene collettivo.

 

Un’ultima domanda personale: perché vi siete avvicinati al mondo dell’apicoltura?

Pierbruno: L’ape mi aveva sempre incuriosito, ma non avevo mai avuto modo di approfondire l’argomento. Arrivato all’università mi sono iscritto al corso di apicoltura e sono rimasto così affascinato da questo insetto che sono diventato subito apicoltore. L’ape è per me affascinante.

Virginia: Io mi ci sono avvicinata alle api dopo gli anni universitari grazie ad un dottorato di ricerca sull’apicoltura con un gruppo di ricerca e un supervisore straordinari. Mi si è aperto davanti un mondo fantastico perché l’ape fa cose meravigliose. Un esempio è il suo sistema “evoluto” di comunicare con le sorelle attraverso le danze, ma veramente incredibile è il fatto che la colonia, grazie all’organizzazione sociale delle sue componenti cosi piccole e laboriose, ha le proprietà di un animale superiore. Le api riescono ad esempio a mantenere una temperatura costante nel nido in estate e inverno, curano l’igiene dell’alveare eliminando i soggetti malati e hanno compiti molto diversi all’interno della colonia in base alla loro età. E sono pure democratiche perché collaborano nei processi decisionali.  Anche la scelta del nido è di fatto una scelta di gruppo! 

 

In conclusione, possiamo proprio dire che dalle api abbiamo tanto da imparare!

 

16 giugno 2020

Foto in apertura di Pierbruno Mutton