A fine inverno ed in primavera, con i primi tepori, spuntano le erbe spontanee o “alimurgiche”, che caratterizzano la cucina tradizionale anche della mia regione.

L’alimurgia (1767 – Giovanni Targioni Tozzetti, da alimenta + urgentia) è la scienza che riconosce l’utilità delle piante selvatiche per il sostentamento in periodi di carestia. In questo senso le piante spontanee hanno rivestito in passato un ruolo molto importante ed il loro impiego si è diffuso su tutto il territorio nazionale, anche se le specie presenti o raccolte possono variare a seconda dell’area geografica interessata.

Il Friuli Venezia Giulia si divide in tante zone (Alpi, Prealpi, Collina, Alta pianura, Bassa pianura, Laguna e Carso) con caratteristiche pedoclimatiche anche molto diverse tra loro e per questo sul suo territorio si è rilevata la presenza di ben n. 3388 differenti entità vegetali vascolari. Di conseguenza anche la gamma di erbe commestibili è molto ampia.

La raccolta della flora spontanea è stata normata con la Legge Regionale 9/2007 – Norme in materia di risorse forestali e con il successivo D.P. Reg. 074/2009 – Regolamento per la tutela della flora e della fauna di importanza comunitaria e di interesse regionale, che individua le specie di cui è vietata la raccolta e le quantità massime raccoglibili per le specie di cui è invece consentita… nel rispetto di tradizioni, usi e costumi locali.

 

Ma quali sono le piante spontanee più utilizzate nella cucina friulana?

Silene (Silene vulgaris) o grisòl, sclopìt, s’ciopeti, carleti

Per i suoi fiori “panciuti” ha preso il nome dal dio Sileno, compagno ed educatore di Bacco e famoso per il ventre rigonfio. Si trova in terreni incolti, campi, capezzagne e se ne possono raccogliere al massimo tre chilogrammi.

Nella cucina friulana è senza dubbio la pianta più conosciuta ed apprezzata. Con i suoi germogli si preparano gustosi risotti, frittate, paste ripiene ed al forno. Personalmente provo un grande piacere nel trovarla perché ha un bel colore argentato e le sue foglioline, sfregolate tra le mani, sembrano cantare. In passato i bambini schiacciavano i suoi fiori per provocare il rumore di uno scoppio. Da qui probabilmente il nome dialettale sclopìt.

 

Luppolo (Humulus lupulus) o bruscandoli, urtizòns, vidison

Luppolo deriva da humus e da lupus salicarius (lupo dei salici) perché Plinio annotò che questa pianta avvolgeva e soffocava le giovani piante di salice. Cresce in luoghi umidi e cespugliosi fino ad un’altitudine di 1.200 metri s.l.m. I germogli diventano ingrediente di risotti, frittate, minestre, ecc. ed il limite regionale di raccolta è di un chilogrammo.

I fiori femminili del luppolo sono usati nella produzione della birra.

 

Ortica (Urtica dioica) o urtìe, ortigia, urtiga

Il nome deriva da urère e tactus (bruciare al tatto), e oikos (due case). Fiori maschili e fiori femminili sono infatti su piante diverse. In passato si aggiungeva al pastone delle galline per migliorare la produzione di uova e dai suoi fusti si può ricavare una fibra tessile. Era molto usata in tintoria per colorare seta e lana, in agricoltura contro gli afidi e nell’uso popolare anche per combattere artrite e dolori reumatici.

Si trova in terreni abbandonati, rive, boscaglie e sta ad indicare la presenza di azoto ed umidità. Con i germogli apicali, che possono essere raccolti nel quantitativo massimo di tre chilogrammi, si preparano frittate, risotti, minestre, gnocchi.

 

Papavero o rosolaccio (Papaver rhoeas) o pavarièl, rosoline, confenon, papàvers

Il nome dovrebbe derivare da pappa perché sembra che in antichità i petali venissero aggiunti per le loro proprietà narcotiche al cibo dei bambini per tranquillizzarli. Cresce nei campi di cereali, incolti, ai margini delle strade, ecc. ed il limite di raccolta è di un chilogrammo. Le giovani piantine vengono stufate ed usate come contorno o in frittate, risotti, ecc.

 

Tarassaco (Taràxacum officinale) o pisseciàn, ladrichèsse, tàlae, preti, radiciele

È chiamato anche dente di leone per le foglie dentate ed ha molte proprietà medicinali. I boccioli fiorali si conservano come i capperi mentre con i fiori si preparano buonissimi sciroppi. Si trova un po’ ovunque: prati concimati, incolti, capezzagne. In cucina si usano le giovani piantine stufate, in insalata, in risotti e torte salate. Se ne possono raccogliere al massimo tre chilogrammi.

 

Valerianella (Valerianella olitoria) o argielùt, gialùt, galet, galinella

Si trova nelle colture di cereali, nei prati, lungo le scarpate.  Si mangia soprattutto cruda in insalata e, secondo la norma regionale, il limite di raccolta è fissato in un chilogrammo.

 

Aglio orsino (Allium ursinum)

Facilmente riconoscibile per il forte odore agliaceo, cresce nel sottobosco e alle sponde di fossi. Se ne può raccogliere al massimo un chilogrammo e le sue foglie vengono utilizzato per preparare gustose zuppe, minestre e frittate.

 

Pungitopo (Ruscus aculeatus) o sparesi de rùst, rùscli, brusasorsi, bruscoli, rustegot

In passato strumento di lavoro degli spazzacamini, veniva usato anche per tenere lontano i topi da bachi da seta e dai locali di conservazione di frutta ed altri alimenti. Il suo habitat sono siepi e boschi collinari e submontani. In cucina i giovani turioni sono preparati come gli asparagi. Il quantitativo massimo di raccolta è pari ad un chilogrammo.

 

In montagna è poi molto ricercato il pregiato Radicchio di monte (Cicerbita alpina) o radìc di mont che viene conservato sott’olio, mentre il Levistico (Levisticum officinale) o sedano di monte è usato per la preparazione di ottimi digestivi.

Vanno poi ricordati il Buonenrico (Chenopodium bonus henricus) o pel di mus, gàsala, jerbo da’ farino, la Barba di capra (Aruncus dioicus) o barba di bèc, penàc, l’Asparago selvatico (Asparagus officinalis, acutifolius, tenuifolius), il Crescione (Nasturtium officinale), il Cumino (Carum carvi), ma sono tante altre le piante spontanee ed aromatiche conosciute in passato che oggi sono riscoperte in cucina.

 

Attenzione però alle piante velenose!

Non tutto ciò che è naturale è commestibile!

Ci sono piante che possono provocare seri disturbi ed in alcuni casi addirittura la morte. Tra queste Aconito napello, Belladonna, Cicuta maggiore, Elleboro, Veratro (spesso confuso con la genziana), Arnica, Assenzio, Gigaro, Celidonia, Colchico (zafferano bastardo), Mughetto, Ciclamino, Daphne, Digitale gialla, Edera, Mercuriale, Uva di volpe, Sigillo di Salomone, Dulcamara, Erba morella, Vischio comune, ecc.

 

Ma ritornando a quelle commestibili, come si deve procedere per la loro preparazione culinaria?

In linea di massima si consiglia di sbollentarle pochi minuti in acqua salata, scolarle e lasciarle raffreddare. Di seguito vanno tritate ed aggiunte:

  • ai soffritti, nella preparazione di contorni, di zuppe di sole erbe e di salse per primi piatti
  • alle uova crude, nella preparazione di frittate
  • nei risotti a metà cottura del riso
  • nei ripieni a ricotta e poco formaggio.

Ci possono però essere anche altri modi di cucinarle in base a ricette specifiche dei singoli territori.

In ogni caso l’uso di erbe spontanee renderà comunque uniche e deliziose le nostre preparazioni culinarie!

 

2 febbraio 2018